Call center, stop alle telefonate “selvagge” dai paesi dell’Est
Governo e 13 multinazionali hanno firmato un accordo per frenare la delocalizzazione e regolamentare il settore tutelando utenti e operatori
Frenare la delocalizzazione selvaggia, inasprire le sanzioni per chi non tutela i lavoratori e migliorare il servizio finale per gli utenti. Sono gli obiettivi del “Protocollo di autoregolamentazione sulle attività di call center” firmato dal governo italiano e da 13 aziende committenti, che sommate rappresentano il 65% del mercato di riferimento: Enel, Eni, Sky, Mediaset, Tim, Vodafone, Wind Tre, Fastweb, Unicredit, Poste Italiane, Trenitalia, Intesa San Paolo e Ntv.
L’intesa è nata dalla necessità di riqualificare un settore provato dalla crisi, che negli ultimi anni ha visto una crescente delocalizzazione verso paesi extracomunitari dove il costo del lavoro è nettamente inferiore. La forza lavoro impiegata ha un’età media di 35 anni, poche tutele e scarse chances di ricollocamento.
Il protocollo prevede che il 95% del volume dei servizi di call center effettuato direttamente dalle 13 società firmatarie – e l’80% di quello appaltato da queste a fornitori esterni – venga effettuato in Italia. Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha descritto l’intesa come “un messaggio di tutela del lavoro e di responsabilità sociale delle imprese, in un settore dominato da precarietà e condizioni di lavoro difficili”.
In Italia, sono 80 mila gli operatori di call center. Nel 2003 erano 12 mila e nel 2006 51 mila. I più, collocati nel sud del Paese, in particolare Calabria e Puglia. Una recente ricerca dell’Istat ha evidenziato anche il cambiamento sociale del mestiere: prima era considerato un impiego momentaneo, in attesa di trovare di meglio, oggi invece l’età media è più alta, i titoli di studio degli operatori sono superiori e si tende a restare di più.
La necessità ad abbattere i costi ha poi causato una massiccia delocalizzazione, soprattutto nei paesi dei Balcani – Albania e Croazia in primis – seguiti da Romania, Bulgaria e Tunisia. Dopo le regole e le sanzioni già previste dalla Legge di stabilità – sul magazine Advancing Trade si trova un interessante approfondimento in merito – il nuovo protocollo ha prescritto una serie di ulteriori obblighi dell’operatore nei confronti dell’utente, per quanto riguarda trasparenza e correttezza delle informazioni fornite, fasce orarie delle telefonate e certificazione linguistica minima (livello B2) per coloro che chiamano dall’estero.
A tutela dei lavoratori, l’intesa prescrive l’esclusione dalle gare di appalto di quei fornitori che applicano un costo orario del lavoro inferiore alle tabelle del ministero del Lavoro, l’istituzione di un osservatorio ad hoc – per vigilare sulla corretta applicazione delle nuove regole – e un fondo di 6 milioni di euro annui per tenere a galla il settore e premiare la leale concorrenza tra i fornitori del servizio, che dovranno essere in possesso di una certificazione di qualità rilasciata in base a precisi requisiti – tra cui adempimento degli obblighi fiscali e contributivi, rispetto dei contratti collettivi e impiego di personale qualificato e debitamente formato -, pena annullamento del contratto e sanzioni in caso di violazione.